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da sempre simbolo di foreste vive e selvatiche, il lupo oggi vede la sua tutela sfilacciarsi.
Con la Direttiva (UE) 2025/1237 del 17 giugno 2025, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, il lupo è stato spostato dall’allegato IV (protezione rigorosa) all’allegato V (protezione attenuata) della Direttiva Habitat (EUR-Lex). In parole povere, l’Italia – come gli altri Stati membri – potrà per la prima volta autorizzare prelievi di popolazione, anche per ragioni “di interesse pubblico” o “per prevenire gravi danni all’agricoltura”.
Eppure i numeri raccontano un’altra storia:
secondo l’ISPRA, nel censimento 2020–2021 sono stati stimati 3.307 lupi (forchetta 2.945–3.608), distribuiti in quasi tutti gli ambienti idonei della Penisola e in forte ripresa anche sulle Alpi (Thesis Unipd).
Un traguardo di conservazione raggiunto grazie a decenni di progetti LIFE, controllo del bracconaggio e programmi agro-pastorali; un traguardo che ora rischia di essere accantonato in nome di ragioni emergenziali fin troppo spesso strumentali.
Prendiamo il Trentino, dove il 24 luglio 2023 il presidente Fugatti ha firmato un’ordinanza – la numero 41 – per l’abbattimento di due lupi responsabili di predazioni a Malga Boldera. È il primo caso in Italia di utilizzo esplicito di una deroga all’articolo 16 della Direttiva Habitat, nonostante ISPRA avesse sottolineato la possibilità di misure alternative (ANSA.it). Un atto che ha lasciato esterrefatti allevatori e ambientalisti, consegnando alle cronache agricole un’immagine di scontro anziché di dialogo.
E mentre il lupo barcolla, i cinghiali (loro naturali prede) danzano indisturbati. Con 2,3 milioni di individui stimati dalla Coldiretti, senza piani di controllo efficaci, il danno all’agricoltura supera i 200 milioni di euro l’anno (Coldiretti, ANSA.it). Danni concreti e tragedie umane dovute da una gestione tutt'altro che efficace degli ecosistemi: il 3 gennaio 2019, sull’autostrada A1 tra Lodi e Casalpusterlengo, tre cinghiali vaganti, a causa dell'assenza di “corridoi verdi” per permettere loro lo spostamento, muovendosi in autostrada per necessità (e non per piacere personale) hanno causato un tamponamento a catena in cui un 28enne ha perso la vita e dieci persone sono rimaste ferite (la Repubblica).
E non parliamo solo di numeri e decreti: c’è l’orsa Jj4, responsabile della morte del runner Andrea Papi, trasferita alla Foresta Nera in piena visita del Presidente della Repubblica (Open, Corriere del Trentino); c’è l’orso M49 “Papillon”, condannato a una reclusione a vita dopo il secco “no” del Consiglio di Stato al ricorso animalista (Montagna.tv).
Ogni vicenda viene cavalcata, montata, scomposta e rimontata in ottica politica, come se ogni predazione fosse un film da prime time, e ogni fuga d’orso un colpo a effetto.
Eppure basterebbe poco per trasformare il caos in collaborazione: recinzioni intelligenti, cani da guardiania, programmi di indennizzi rapidi, educazione sul territorio, e soprattutto un’informazione onesta che dia voce a pastori, agricoltori, tecnici e ricercatori, anziché dipingere “invasioni di lupi” o “emergenze boar” per far leva sul voto.
Perché la vera sfida non è difendere una specie contro l’altra, bensì difendere un ecosistema in cui uomini e animali possano convivere rispettandosi, con regole chiare, fondi adeguati e un pizzico di buon senso.
Solo così eviteremo che l’Italia – già vessata da mille crisi – si trovi a rinunciare anche alla propria natura ed i suoi ecosistemi.
Vogliamo diventare un deserto povero di risorse e futuro, che perfino un animale tenace come il cinghiale abbandonerebbe?
Dipende da noi, dalle nostre opinioni e dal nostro voto. Non lasciamoci cavalcare dagli slogan, amici.
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